sabato 19 marzo 2011

The Limits Of Control


Questa non è un’immagine giusta, è giusto un'immagine..

Jean Luc Godard



L’uomo nero non ha nome.. Il suo sguardo africano è fiero, l’espressione impassibile, i muscoli facciali in perenne tensione reggono una poderosa mandibola costantemente serrata in un indecifrabile ghigno, non ci è dato sapere se le sue labbra trattengano un sorriso o contengano un dolore.. Il linguaggio del suo corpo ci è impenetrabile.. il busto è eretto, le gambe dritte, leggermente larghe ma non arcuate.. ogni movimento è trattenuto, compresso.. ogni sua azione, come gli esercizi di thai chi che esegue con disciplina ogni mattina, ogni movimento dei suoi arti inferiori o superiori, disegna nell’aria arabeschi il cui arcaico significato ci è precluso.. Il linguaggio delle sue parole ci è imperscrutabile, non parla quasi mai.. L’uomo nero è oltre il limite del controllo totale.. della sua persona e dell’ambiente che lo circonda.. Si muove, in continuazione, e senza apparente direzione, attraverso ipnotici spazi dilatati che sembrano infiniti.. anche quando si trova in un luogo chiuso, non si percepisce quali siano i confini di questo luogo, la luce li dissolve e li annulla.. E’ un falso movimento, come i silenzi nella musica di John Cage..


L’uomo nero ha uno scopo, o almeno così ci pare, anche se non sappiamo quale.. Al bar ordina sempre due tazze di caffè espresso e le dispone ordinate davanti a sé.. sono lo yin e lo yang della dimensione eterea che lo circonda, servirgli un doppio espresso in una singola tazzina sarebbe come rompere l’equilibrio su cui si regge l’universo.. chi osa farlo rischia la vita.. L’uomo nero, sempre impeccabile nei suoi abiti eleganti, potrebbe allora sembrarci il guardiano di questo equilibrio.. E’ un solitario.. anche quando distende il corpo e rilassa i muscoli al fianco di sinuose nudità femminili, non le tocca, “niente sesso quando sono in servizio” ci racconta.. ma ogni tanto incontra alcune persone.. Queste persone gli sottopongono temi esistenziali, a cui non si perita di rispondere, e gli impartiscono come istruzioni pillole di saggezza.. “tutto è soggettivo” “l’universo non ha centro né confini” “la realtà è arbitraria” che non fanno altro che descrivere la condizione umana sua e del pianeta che abita.. Queste persone poi gli consegnano scatole di fiammiferi.. un codice genetico seguendo il quale l’uomo nero giunge alla centrale del controllo totale e la fa esplodere.. E quando l’uomo che gestisce il controllo gli chiede come abbia fatto ad introdursi nella fortezza da cui il potere e la tecnica ci controllano.. l’uomo nero risponde “usando l’immaginazione”.. L’uomo nero ci insegna che la fantasia oltrepassa i limiti del controllo..


L’uomo nero ha un nome.. si chiama Mario Balotelli.. Il suo sguardo di figlio di africani cresciuto nelle metropoli occidentali ha smarrito l’antica fierezza e l’ha sostituita con una nuova arroganza.. l’espressione è altezzosa, i muscoli facciali in perenne tensione reggono una poderosa mandibola costantemente serrata in un antipatico ghigno facile da decifrare, la timidezza trasformata in superbia.. Il linguaggio del suo corpo è palese.. il petto esageratamente in fuori, le gambe arcuate ad imitazione di John Wayne, ne fanno un bulletto di periferia che ancora non ha incontrato quello più forte di lui.. ogni movimento è scostante e fuori controllo.. ogni sua azione, come i numeri che effettua col pallone sui campi di calcio, ogni movimento dei suoi arti inferiori volto a colpire il pallone, trasuda nervosismo e rabbia incontrollata.. Il linguaggio delle sue parole ci è imperscrutabile, non parla l’inglese.. Mario Balotelli non è in grado di controllare né il suo talento né l’ambiente che lo circonda.. Si muove, in continuazione, nello spazio verde del campo da gioco delimitato dalle righe bianche, in direzione ostinata e contraria rispetto a quella dei suoi compagni di squadra.. E’ un falso movimento, come i contrappunti negli assoli di Ornette Coleman..


Mario Balotelli sembra non avere alcuno scopo, o almeno così ci pare, nonostante lui ci rassicuri che la sua ambizione è quella di diventare il migliore.. In campo compie sempre gli stessi due movimenti, il tiro verso la porta avversaria alla ricerca del gol ed il fallo sul giocatore avversario alla ricerca della rissa.. sono lo yin e lo yang della dimensione periferica di cui si circonda.. chiedergli altri movimenti, come il passaggio al compagno in buona posizione o il tirare indietro la gamba al momento di un inutile tackle sarebbe come rompere l’equilibrio su cui si regge il suo credersi campione.. chi osa chiederglielo rischia di non essere più ascoltato.. L'uomo nero, vestito e pettinato come un cafone, potrebbe allora sembrarci non in grado di raggiungere un vero equilibrio, che lo porti ad essere veramente un fuoriclasse.. E’ un solitario.. anche quando distende il corpo e rilassa i muscoli al fianco di grossolane nudità femminili, delle quali famelicamente si appropria, “il sesso è uno dei bonus del servizio” ci racconta.. ma ogni tanto incontra alcune persone.. Queste persone sono trafficanti di immagine e procuratori che gli sottopongono temi venali, a cui lui soccombe, e gli impartiscono come istruzioni pastiglie di banalità.. “devi fare i soldi” “sei il migliore, agli altri gli spacchi il culo” “il mondo è ai tuoi piedi” che non fanno altro che descrivere la condizione umana sua e del pianeta che abita.. Queste persone poi gli consegnano rotoli di soldi.. un codice genetico seguendo il quale l'uomo nero giunge alla centrale del controllo totale e ne rimane prigioniero.. E quando Mario Balotelli chiede all’uomo che gestisce il controllo come abbia fatto a intrappolarlo in quella fortezza, rendendolo prigioniero del potere e del denaro.. l’uomo che lo controlla gli risponde “appropiandomi della tua immaginazione”.. Mario Balotelli ci insegna che la fantasia è prigioniera dei limiti del controllo..

venerdì 11 marzo 2011

La Terra, La Guerra, Un Pallone Di Cuoio Marrone..


Quando c'è la guerra, a due cose bisogna pensare prima di tutto: in primo luogo alle scarpe, in secondo alla roba da mangiare; e non viceversa, come ritiene il volgo: perché chi ha le scarpe può andare in giro a trovar da mangiare, mentre non vale l'inverso..

Primo Levi, La Tregua



Tutto parte da un vecchio pallone di quelli marroni.. non di quelli primitivi fatti con vescica di maiale, leggermente più moderno ha all’interno una camera d’aria in gomma ed è ricoperto con dodici strisce di cuoio cucite insieme con della corda.. deve risalire ai primi anni del secolo ventesimo.. E’ sdrucito, malmesso, ed ha una profonda ferita.. Lo trova un vecchio magazziniere nei sotterranei di una palazzina di tre piani a Camberwell, sud di Londra, nella sede del London Irish Rifles Museum.. Il vecchio è sceso in quegli antri polverosi perché questa mattina si è presentato a lui un ragazzino, Frank Jr., che cercava un pallone.. All’inizio pensa a uno scherzo, poi capisce che quel ragazzino non cerca una palla qualunque, per giocare a calcio, ne chiede una speciale, malmessa, che se le storie che gli racconta sua nonna ogni domenica sono vere dovrebbe trovarsi lì.. Allora il vecchio prende il montacarichi, scende, si mette a cercare e dopo una buona ora il pallone salta fuori..


Il ragazzino ha ragione, in quel posto pieno di cimeli e paccottiglie di guerra, in quel posto che ancora oggi si vanta di mandare soldati a sterminare umanitariamente civili in Jugoslavia e in Mesopotamia ma che in realtà è la sede di vecchi reduci ubriachi che si ritrovano lì una volta l’anno per commemorare i (bei) tempi andati e per organizzare la messa in scena di fedeli riproduzioni di storiche battaglie.. un po’ come gli invasati delle guerre civili americane di cui racconta Elmore Leonard.. c’è un vecchio pallone.. E’ veramente messo male quel relitto di gomma e di cuoio, ma si capisce subito che ha qualcosa.. emana forti vibrazioni, attinge alla grammatica generativa delle storie e dei miti ed è pronto a raccontarne di dimenticati.. Il vecchio magazziniere sale e consegna il pallone al ragazzino..



Frank Jr. torna a casa pieno d’orgoglio e mostra il pallone a Susan, la mamma, che non riesce a trattenere una lacrima.. Abbraccia il piccolo e contatta il Leather Conservation Centre di Northampton perché rimettano a posto quella reliquia rovinata dal tempo e dall’angoscia di una storia che non è mai riuscito a raccontare.. L’appuntamento è per lunedì, c’è un po’ di tempo ancora.. Allora Susan prende per mano il ragazzino e lo porta a casa della nonna.. E qui, nel salotto di questa anziana signora, al piano terra di una semi-detached londinese, sotto la riproduzione di un acquerello di Elizabeth Thompson, altrimenti detta Lady Butler, incorniciato malamente sopra il camino, il pallone può finalmente tornare a sorridere.. E il ragazzino, con il pallone tra le braccia e gli occhi fissi sul dipinto, si lascia trasportare nella dimensione del racconto e si ritrova in quel luogo, nel nord della Francia, e in quel tempo, il 1915.. E’ nel bel mezzo della battaglia di Loos, una delle più ardite offensive britanniche sul fronte occidentale durante la Prima Guerra..


Il pallone guarisce, il soffio del mito gonfia la camera d’aria, le mani della storia ricompongono le cuciture del cuoio, il ragazzino corre felice tra le trincee con il pallone tra i piedi finché laggiù, in prima linea, scorge un giovane uomo, poco più grande di lui, che gli somiglia molto.. I due si guardano e in un solo istante si riconoscono come bisnonno e pronipote.. Il ragazzino Frank Edwards Jr. sa che deve passare il pallone al giovane uomo Frank Edwards, della brigata della London Irish Rifles, affinché la storia che sua nonna gli racconta ogni domenica si possa finalmente compiere.. Ricevuto quello splendido pallone di cuoio tra i piedi, Frank si lancia, come sempre ha fatto in questa maledetta guerra, con il pallone tra i piedi nella terra di nessuno che separa le postazioni britanniche da quelle tedesche.. Baionette in pugno e urlando a squarciagola sono in sei a partire all’arrembaggio passandosi il pallone, come avrebbero fatto nelle strade di Londra o di Belfast.. Cinque di loro cadono sotto i proiettili nemici.. solo Frank, colpito a una gamba, fa in tempo a calciare di collo pieno verso le trincee tedesche.. E mentre Frank cade a terra sotto gli occhi di Frank Jr. è lì, nel filo spinato delle trincee nemiche, che va a conficcarsi quel vecchio pallone di cuoio marrone.. E lo squarcio che ne solca il cuoio disfacendolo.. e il metallo che penetra nella gomma facendo esplodere la camera d’aria.. sono la ferita che l’umanità ha deciso di arrecarsi dall’alba dei tempi per il gusto di giocare alla guerra..