domenica 22 maggio 2011

Nessuna Salvezza A Tangeri


La vera eleganza morale consiste nell'arte di travestire le proprie vittorie da sconfitte
..
Emil Cioran, Squartamento


Sotto il sole terso di Tangeri l’identità si squaglia e il doppio prende il sopravvento.. il falso fa il suo giro, abbraccia il vero, lo carezza, lo avvolge nei suoi fluttuanti veli e lo porta via con sé nel nulla.. Sotto il sole terso di Tangeri si svolse l’epica mitologica di Ercole, il protettore dei mercanti, dei trafficanti e dei ladri.. che scopertosi immortale conobbe la pietà e decise di darsi la morte da sé.. Sotto il sole terso di Tangeri per millenni si incontravano e si mescolavano berberi e fenici, greci e latini, imperi e repubbliche.. in eterno transito in una città territorio in continua espansione naturale in cui l’identità culturale veniva vaporizzata nello scambio e nella mescolanza.. Sotto il sole terso di Tangeri spie, faccendieri, doppiogiochisti e intrallazzatori si muovevano senza sosta nell’interzona.. 373 chilometri quadrati dove dal 1923 al 1956 la legge era sospesa e il diritto reso materia liquida tracimava ogni contenitore.. Sotto il sole terso di Tangeri apparvero le prime banconote dell’Operazione Bernhard.. la più grande opera di contraffazione della storia, dove il denaro apparve per quello era: simulacro del desiderio dell’umanità.. Sotto il sole terso di Tangeri le puttane, gli spacciatori e i santi senza dio di Genet, Burroughs e Tennessee Williams esaltavano la sconfitta dell’umanità.. l’autodistruzione del corpo e della mente come l’unica via di fuga dalle prigioni della ragione..


Sotto il sole terso di Tangeri il Blackpool si è immolato come Ercole per ricordarci che la pietà è la naturale sconfitta dell’umanità e non la compassione cristiana del forte contro il debole.. Sotto il sole terso di Tangeri il Blackpool si è trovato quasi per caso a mescolare un manipolo di sconosciuti.. berberi e fenici, greci e latini, sudditi di imperi e cittadini di repubbliche.. nella squadra più divertente dell’intera Premier League.. Sotto il sole terso di Tangeri il Blackpool è stato sconfitto 4-2 nell’interzona suprema di Old Trafford.. 7140 metri quadrati dove la legge e il diritto sono in favore del più forte e si manifestano nella loro inutilità perché la giustizia non esiste.. Sotto il sole terso di Tangeri il Blackpool ci ha fatto piangere e ci ha ricordato che il calcio è falso.. perché è inutile giocare benissimo e tendere al sublime attraverso lo spettacolo quando la contraffazione tattica dell’Operazione Bernhard di squadracce che replicano in serigrafia il brutto e il noioso ti porta alla salvezza.. Sotto il sole terso di Tangeri il Blackpool si è fatto giustizia da sé.. condannandosi all’oblio contro il Manchester United con un autogol di Evatt.. perché, come ci raccontano i personaggi delle storie di Genet, Burroughs e Tennessee Williams, la sconfitta e la distruzione del sè sono l’unica via di fuga dalle prigioni del calcio moderno.. E la salvezza non è dell’umanità.. men che meno dei Tangerines..

venerdì 13 maggio 2011

L'Orizzonte Degli Eventi Della FA Cup

Il buco nero ci ha ingoiati e siamo stati risucchiati / in un’altra dimensione nella quale siamo circondati / dalle pulci gigantesche provenienti dal futuro / che non amano la luce preferiscono l’oscuro..

Elio e le Storie Tese, Supermassiccio


L’orizzonte degli eventi è.. oltre che uno dei più bei film italiani del terzo millennio, una storia di fisici nucleari e pastori macedoni, sopra e sotto, dentro e fuori, al di qua e al di là del Gran Sasso.. un confine che si può attraversare una volta sola.. In astrofisica l’orizzonte degli eventi è una specie di forza di attrazione di un corpo (il buco nero) dalla quale si può fuggire solo superando la velocità della luce.. nella vulgata generale diventa quindi quella frontiera superata la quale non si riesce a rientrare perché si viene inghiottiti dal nulla.. è il punto di non ritorno.. Nel calcio, l’orizzonte degli eventi, è la tattica di gioco applicata dalle squadre che l’italico e gagliardo giornalismo sportivo d’altri tempi avrebbe definito “femmine”.. Squadre che si siedono nella propria metà campo aspettando l’avversario, attraendolo nel proprio campo gravitazionale, imprigionandolo e poi colpendo con rapidi e fulminei contropiedi.. Normalmente si pensa che possano essere due le condizioni necessarie e funzionali all’osservazione di tale fenomeno in un campo di calcio.. la prima è una questione di stile, un formalismo dovuto a preferenza estetica, la seconda si fa normalmente derivare da una strategia consapevole di ampio respiro impostata sulla massimizzazione delle proprie forze, solitamente inferiori all’avversario.. In realtà, con un involontario sconfinamento nel materialismo dialettico, già quell’italico, gagliardo e sessuofobico giornalismo sportivo d’altri tempi aveva riconosciuto nel gioco basato sulla difesa ad oltranza ed il contropiede una pura e semplice necessità materiale..


Fu l’impareggiabile, in ogni senso, Gianni Brera, altrimenti detto Gioanbrerafucarlo, a coniare la figura retorica della squadra “femmina” così come a sostenere la necessità materiale del popolo italiano, povero, debole e malnutrito, a giocare di astuzia e di rimessa contro nazioni che, data la loro ricchezza strutturale economica e la conseguente maggior prestanza fisica, ci sovrastavano agonisticamente.. In quell’epoca premoderna del calcio in cui si sfidavano le concezioni tattiche del Metodo e del Sistema fu uno svizzero, Rappan, ad arretrare un centrocampista in difesa costituendo il verrou, o righello, creando quello che più avanti sarebbe stato reinventato dal calcio italiano come catenaccio.. nel senso che si chiudeva a chiave la propria porta.. Fu Gipo Viani che alla Salernitana superò la linea aristotelica ed orizzontale del righello in favore di una disposizione platonica e verticale in cui un difensore veniva ulteriormente arretrato dietro i tre stopper nel ruolo che poi Brera chiamò di libero.. Il passaggio dal progressismo (elitario) aristotelico al conservatorismo (repubblicano) platonico fu il passo fondamentale per tracciare sul prato verde un orizzonte degli eventi al limite dell’area.. superato il quale la squadra avversaria veniva inghiottita in un buco nero per poi, secondo il dizionario calcistico in voga al tempo, essere “uccellata” in contropiede tramite una “penetrazione” verticale volta a “infilare” il gol della vittoria per 1-0.. Il calcio ed il popolo italiano impararono a fare di necessità virtù e, machiavellicamente, svilupparono il contenuto catenaccio in varie e diverse forme di arte povera e con il Milan di Rocco e la Grande Inter di Herrera riuscirono a trasformarlo nella vincente riscossa dell’italiano brutto, sporco e cattivo che aveva perso la guerra..


Né la splendida scuola leninista dell’Urss, che prevedeva un’egemonia ideologica a tutto campo, né i trozkisti slavi del caos organizzato e nemmeno gli hippies Olandesi della fantasia al potere riuscirono a farci cambiare idea.. e negli anni ’80 con il catenaccio raggiungemmo l’apice andando a vincere un Campionato del Mondo.. superando non solo le altre scuole europee ma anche i danzatori sufi, e mai stufi di correre dietro al pallone, delle Americhe Latine.. Fu, a suo modo, il nostro orizzonte degli eventi.. il punto di non ritorno.. Dopo quel mondiale arrivarono i Sacchi e gli Zeman e il calcio italiano uscì dalla sua dimensione autistica da finto povero ninomanfrediano aprendosi ai venti della globalizzazione e del calcio totale a tutto campo.. O almeno, fino ad un certo punto.. perché le diseguaglianze socioeconomiche nella poststoria non sono sparite, né sono state minimamente attenuate, anzi, e anche perché una certa sovrastruttura culturale è rimasta ben radicata nei figli di quell’Italia..


Da una parte quell’idea di calcio difensivo fu infatti adottata anche fuori dall’Italia da quelle squadre piccole, di mentalità utilitaristica plebea e piccoloborghese, per cui il risultato era il fine ultimo.. Fu così che anche negli altri campionati europei molte squadrette candidate alla retrocessione impostavano la loro tattica sull’attesa.. difesa e contropiede.. si puntava allo zero a zero e ogni tanto si riusciva a portare a casa anche il risultato pieno.. Ogni paese aveva i suoi modi di produzione e ogni campionato nazionale adottava quindi la sua variante del catenaccio.. In Inghilterra, dove si ragiona con i piedi anche fuori dagli stadi, si cominciò ad attuare quindi la tattica del campanile.. Forti di una genetica supremazia fisica nei confronti dei latini, di una totale mancanza di gusto estetico e di un agonismo fuori dal comune, la working class calcistica britannica, con rare eccezioni, impostava la partita su una difesa arcigna dove si cercava la supremazia corporea nel duello individuale, seguita dal lancio in avanti a casaccio con palla alta, a campanile appunto, dove la prestanza fisica del centrocampista gli permetteva di recuperare per primo quel pallone che scendeva dal cielo e di rimetterlo, sempre ad altitudini spropositate, al centro dell’area.. qui il centravanti spilungone incornava a rete.. Dall’altra parte, nonostante le ventate di modernità sacchiane, ancora oggi il tecnico italiano, soprattutto in Europa, è portato ad impostare una partita di puro contenimento.. Per non parlare dell’italiano all’estero, figura mitologica di cui sono recentemente entrati a fare parte anche gli allenatori di calcio..


Esempio della prima scuola calcistica è lo Stoke City.. Una delle squadre più antiche di Inghilterra, e la più famosa a non avere mai vinto un campionato, i Potters sono tornati in auge in questi ultimi anni grazie al tecnico Tony Pulis.. Modesto giocatore nelle serie minori e raffinato stratega (è stato il tecnico più giovane ad ottenere il patentino UEFA, all’età di 21 anni) Pulis è da tre anni che riesce a mantenere i Potters in Premier League grazie all’anticalcio per eccellenza.. Guardare una partita dello Stoke è come martellarsi sui coglioni per novanta minuti.. un’esperienza che solo l’amore può portarti a compiere.. Difesa bloccata e cattivissima in cui giocano praticamente quattro difensori centrali ed immobili capitanati dal macellaio Shawcross.. centrocampo di corsa e di fatica in cui si lotta e non si sa cosa voglia dire governare.. ali come Delap, Etherington e Pennant che corrono come dei pazzi in attacco e soprattutto in difesa.. e un attaccante come Kewaine Jones la cui funzione è essere il primo difensore.. Poi un bestione a scelta tra Fuller, Carew, Sidibe o Walters.. C’era una volta Tuncay, talentuoso ed indolente trequartista turco, ma a gennaio è stato rifilato al Wolfsburg per manifesta indisciplina, bassa funzionalità e sospette simpatie trozkiste che avrebbero spiegato quel suo atteggiamento decadente e borghese.. Assistere ad una partita dello Stoke è come guardare una partita di ping pong su un tavolo immenso.. la palla è sempre in aria, sembra non possa rimbalzare per terra più di una volta ad azione, pena la morte, e viene colpita con forza e direzione verso la porta avversaria.. sempre in verticale, mai un passaggio in orizzontale.. Unica variazione sul tema le rimesse laterali di Rory Delap.. un passato come giavellottista, l’esterno angloirlandese si è reso famoso per la capacità di effettuare cross tesi e precisi per l’inzuccata dell’attaccante, o del difensore centrale, di turno non con i piedi ma con le mani.. anche dalla trequarti..


Esempio della seconda scuola calcistica, quella degli italiani emigrati all’estero con la valigia di cartone piena di pasta e di sugo di pomodoro, è Roberto Mancini.. Considerato a ragione all’inizio del nuovo millennio come l’esponente di quella nouvelle vague italica di allenatori figli di Sacchi più che pronipoti di Viani, e quindi propenso ad un calcio arioso ed offensivo, non appena sbarcato nella perfida Albione il Mancio ha improvvisamente riscoperto le sue antiche radici.. Ha (ri)proposto un calcio antico basato su una difesa ferma ed impermeabile, due centrocampisti come Barry e De Jong a protezione della retroguardia, due ali a cui è richiesto di rientrare con costanza e l’invenzione di un mediano come trequartista.. Il marchio di fabbrica del City manciniano è infatti l’utilizzo di Yaya Tourè.. il cosiddetto centromediano metodista che per anni si è piazzato davanti alla difesa a fermare gli avversari, spazzare palloni e, al massimo, fare ripartire l’azione.. come grimaldello dietro le punte.. Un’idea a suo modo geniale quella di dare forza e fisicità alla squadra nella trequarti avversaria piazzando lì il giocatore atleticamente più potente, un’idea talmente vincente che Massimo Allegri l’ha beatamente copiata trasformando a metà campionato il mediano ghanese Boateng in trequartista per andare a vincere lo scudetto.. un’idea però conservativa, che toglie spazio ad un giocatore di talento (Silva, Johnson, Balotelli, Tevez), lascia isolata l’unica punta ed arretra il baricentro della squadra di una ventina di metri.. Il City è una squadra fondamentalmente noiosa, che lascia l’iniziativa all’avversario, che subisce poco (seconda miglior difesa della Premier dopo, ca va sans dire, il Chelsea dell’altro italians Ancelotti) e segna ancora meno.. Memorabile lo 0-0 casalingo contro il derelitto Birmingham in cui a cinque minuti dalla fine Mancini decide di togliere l’unica punta, Tevez, per inserire l’ennesimo centrocampista, Barry, a difesa del risultato.. nel disgusto dei suoi stessi tifosi che hanno iniziato a sfotterlo..


Manchester City e Stoke City.. due squadre che fanno di quella linea di confine tra materia conosciuta e sconosciuta, tra universo e buco nero, tra la trappola difensiva per gli avversari e imprigionamento del sé, il loro marchio di fabbrica.. Manchester City e Stoke City.. due squadre che si affronteranno domani nella finale di FA Cup.. In gioco, la capacità di evadere dall’orizzonte degli eventi.. in gioco, l’esistenza della Fa Cup stessa, che rischia di non trovare una velocità di fuga pari alla velocità della luce e rimanere per sempre imprigionata nel un buco nero dell’antimateria dei soldi delle televisioni.. La più antica competizione calcistica europea, nata 140 anni fa, aveva infatti poche idee, ma non confuse, che la rendono tuttora splendida.. Vi partecipano le squadre delle quattro serie professionistiche e le qualificate dai preliminari tra le squadre dei vari campionati regionali amatoriali.. le squadre si scontrano tramite il sorteggio integrale, così come è sorteggiato il campo in cui si disputa la partita.. in caso di parità si va alla ripetizione della partita sul campo di chi ha giocato la prima in trasferta.. Queste regole hanno permesso di vedere quest’anno al terzo turno (quello dove entrano in gioco le squadre della prima divisione) la sfida tra Livepool e Manchester da una parte e quella tra Torquay e Carlisle dall’altra.. una vera democrazia del pallone.. Grazie al sorteggio integrale e a quello del campo era anche possibile assistere alla vittoria di una squadra semiprofessionista o addirittura amatoriale nei confronti di squadre di Premier.. Poteva nascere la leggenda dell’Altrincham F.C., squadra della periferia di Manchester che non ha mai disputato un campionato professionistico ma per ben 16 volte ha eliminato una squadra di professionisti, o dei Blyth Spartans, altra squadra amatoriale che nel 1978 ha raggiunto i quarti di finale della competizione..


Ma l’orizzonte degli eventi del capitale, quel confine composto dal feticismo della merce dietro cui tutto scompare e non ritorna, sotto forma di diritti televisivi farà in modo che queste regole cambieranno.. Dai prossimi anni la finale verrà spostata dalle 3 pomeridiane alle 5,15 e potrebbe non essere più giocata il sabato, levata di scudi dei puristi.. ma fin qui tutto bene.. la tradizione (con la t maiuscola o minuscola) è fatta per essere superata, se non rasa al suolo, anche perché non esiste.. Diverso è che verrà abolita la ripetizione della partita, a favore dei rigori dopo il 90’, e che, soprattutto, verranno inserite nel tabellone le teste di serie che non potranno più scontrarsi tra loro.. addio minnows e addio giant killers, addio Chasetown e addio Yeovil Town.. addio alla cavalcata del Crawley Town, i Red Devils del Sussex che quest’anno sono arrivati a giocare il quinto turno ad Old Trafford contro i Red Devils più famosi, quelli di Manchester.. Quella di domani è probabilmente l’ultima finale che si disputerà nell’universo della Fa Cup per come lo conosciamo noi.. poi, superato l’orizzonte degli eventi del capitale, non si potrà più tornare indietro.. Curioso che a giocarsela saranno squadre come il Manchester City e lo Stoke City che fanno dell’orizzonte degli eventi del buco nero difensivo che ingloba l’avversario il loro modus operandi (astro)fisico.. Per fortuna, come ha immaginato Stephen Hawking, anche il buco nero probabilmente emette energia.. in realtà è una teoria puramente utopica e non dimostrabile, la cui conclusione è però che il buco nero emetterebbe energia fino a svuotare completamente la massa di cui è composto e a scomparire per evaporazione della propria materia.. La FA Cup potrà dunque essere salvata non tanto da squadre come Stoke e Man City, che mai raggiungeranno una bellezza estetica di velocità superiore a quella della luce che permetterà loro di fuggire, ma dall’evaporazione del buco nero del capitale e dalla sua scomparsa definitiva.. Nonostante le due squadre che giocheranno domani a Wembley, dall’orizzonte degli eventi della Fa Cup c’è ancora una possibilità di fuga..

sabato 19 marzo 2011

The Limits Of Control


Questa non è un’immagine giusta, è giusto un'immagine..

Jean Luc Godard



L’uomo nero non ha nome.. Il suo sguardo africano è fiero, l’espressione impassibile, i muscoli facciali in perenne tensione reggono una poderosa mandibola costantemente serrata in un indecifrabile ghigno, non ci è dato sapere se le sue labbra trattengano un sorriso o contengano un dolore.. Il linguaggio del suo corpo ci è impenetrabile.. il busto è eretto, le gambe dritte, leggermente larghe ma non arcuate.. ogni movimento è trattenuto, compresso.. ogni sua azione, come gli esercizi di thai chi che esegue con disciplina ogni mattina, ogni movimento dei suoi arti inferiori o superiori, disegna nell’aria arabeschi il cui arcaico significato ci è precluso.. Il linguaggio delle sue parole ci è imperscrutabile, non parla quasi mai.. L’uomo nero è oltre il limite del controllo totale.. della sua persona e dell’ambiente che lo circonda.. Si muove, in continuazione, e senza apparente direzione, attraverso ipnotici spazi dilatati che sembrano infiniti.. anche quando si trova in un luogo chiuso, non si percepisce quali siano i confini di questo luogo, la luce li dissolve e li annulla.. E’ un falso movimento, come i silenzi nella musica di John Cage..


L’uomo nero ha uno scopo, o almeno così ci pare, anche se non sappiamo quale.. Al bar ordina sempre due tazze di caffè espresso e le dispone ordinate davanti a sé.. sono lo yin e lo yang della dimensione eterea che lo circonda, servirgli un doppio espresso in una singola tazzina sarebbe come rompere l’equilibrio su cui si regge l’universo.. chi osa farlo rischia la vita.. L’uomo nero, sempre impeccabile nei suoi abiti eleganti, potrebbe allora sembrarci il guardiano di questo equilibrio.. E’ un solitario.. anche quando distende il corpo e rilassa i muscoli al fianco di sinuose nudità femminili, non le tocca, “niente sesso quando sono in servizio” ci racconta.. ma ogni tanto incontra alcune persone.. Queste persone gli sottopongono temi esistenziali, a cui non si perita di rispondere, e gli impartiscono come istruzioni pillole di saggezza.. “tutto è soggettivo” “l’universo non ha centro né confini” “la realtà è arbitraria” che non fanno altro che descrivere la condizione umana sua e del pianeta che abita.. Queste persone poi gli consegnano scatole di fiammiferi.. un codice genetico seguendo il quale l’uomo nero giunge alla centrale del controllo totale e la fa esplodere.. E quando l’uomo che gestisce il controllo gli chiede come abbia fatto ad introdursi nella fortezza da cui il potere e la tecnica ci controllano.. l’uomo nero risponde “usando l’immaginazione”.. L’uomo nero ci insegna che la fantasia oltrepassa i limiti del controllo..


L’uomo nero ha un nome.. si chiama Mario Balotelli.. Il suo sguardo di figlio di africani cresciuto nelle metropoli occidentali ha smarrito l’antica fierezza e l’ha sostituita con una nuova arroganza.. l’espressione è altezzosa, i muscoli facciali in perenne tensione reggono una poderosa mandibola costantemente serrata in un antipatico ghigno facile da decifrare, la timidezza trasformata in superbia.. Il linguaggio del suo corpo è palese.. il petto esageratamente in fuori, le gambe arcuate ad imitazione di John Wayne, ne fanno un bulletto di periferia che ancora non ha incontrato quello più forte di lui.. ogni movimento è scostante e fuori controllo.. ogni sua azione, come i numeri che effettua col pallone sui campi di calcio, ogni movimento dei suoi arti inferiori volto a colpire il pallone, trasuda nervosismo e rabbia incontrollata.. Il linguaggio delle sue parole ci è imperscrutabile, non parla l’inglese.. Mario Balotelli non è in grado di controllare né il suo talento né l’ambiente che lo circonda.. Si muove, in continuazione, nello spazio verde del campo da gioco delimitato dalle righe bianche, in direzione ostinata e contraria rispetto a quella dei suoi compagni di squadra.. E’ un falso movimento, come i contrappunti negli assoli di Ornette Coleman..


Mario Balotelli sembra non avere alcuno scopo, o almeno così ci pare, nonostante lui ci rassicuri che la sua ambizione è quella di diventare il migliore.. In campo compie sempre gli stessi due movimenti, il tiro verso la porta avversaria alla ricerca del gol ed il fallo sul giocatore avversario alla ricerca della rissa.. sono lo yin e lo yang della dimensione periferica di cui si circonda.. chiedergli altri movimenti, come il passaggio al compagno in buona posizione o il tirare indietro la gamba al momento di un inutile tackle sarebbe come rompere l’equilibrio su cui si regge il suo credersi campione.. chi osa chiederglielo rischia di non essere più ascoltato.. L'uomo nero, vestito e pettinato come un cafone, potrebbe allora sembrarci non in grado di raggiungere un vero equilibrio, che lo porti ad essere veramente un fuoriclasse.. E’ un solitario.. anche quando distende il corpo e rilassa i muscoli al fianco di grossolane nudità femminili, delle quali famelicamente si appropria, “il sesso è uno dei bonus del servizio” ci racconta.. ma ogni tanto incontra alcune persone.. Queste persone sono trafficanti di immagine e procuratori che gli sottopongono temi venali, a cui lui soccombe, e gli impartiscono come istruzioni pastiglie di banalità.. “devi fare i soldi” “sei il migliore, agli altri gli spacchi il culo” “il mondo è ai tuoi piedi” che non fanno altro che descrivere la condizione umana sua e del pianeta che abita.. Queste persone poi gli consegnano rotoli di soldi.. un codice genetico seguendo il quale l'uomo nero giunge alla centrale del controllo totale e ne rimane prigioniero.. E quando Mario Balotelli chiede all’uomo che gestisce il controllo come abbia fatto a intrappolarlo in quella fortezza, rendendolo prigioniero del potere e del denaro.. l’uomo che lo controlla gli risponde “appropiandomi della tua immaginazione”.. Mario Balotelli ci insegna che la fantasia è prigioniera dei limiti del controllo..

venerdì 11 marzo 2011

La Terra, La Guerra, Un Pallone Di Cuoio Marrone..


Quando c'è la guerra, a due cose bisogna pensare prima di tutto: in primo luogo alle scarpe, in secondo alla roba da mangiare; e non viceversa, come ritiene il volgo: perché chi ha le scarpe può andare in giro a trovar da mangiare, mentre non vale l'inverso..

Primo Levi, La Tregua



Tutto parte da un vecchio pallone di quelli marroni.. non di quelli primitivi fatti con vescica di maiale, leggermente più moderno ha all’interno una camera d’aria in gomma ed è ricoperto con dodici strisce di cuoio cucite insieme con della corda.. deve risalire ai primi anni del secolo ventesimo.. E’ sdrucito, malmesso, ed ha una profonda ferita.. Lo trova un vecchio magazziniere nei sotterranei di una palazzina di tre piani a Camberwell, sud di Londra, nella sede del London Irish Rifles Museum.. Il vecchio è sceso in quegli antri polverosi perché questa mattina si è presentato a lui un ragazzino, Frank Jr., che cercava un pallone.. All’inizio pensa a uno scherzo, poi capisce che quel ragazzino non cerca una palla qualunque, per giocare a calcio, ne chiede una speciale, malmessa, che se le storie che gli racconta sua nonna ogni domenica sono vere dovrebbe trovarsi lì.. Allora il vecchio prende il montacarichi, scende, si mette a cercare e dopo una buona ora il pallone salta fuori..


Il ragazzino ha ragione, in quel posto pieno di cimeli e paccottiglie di guerra, in quel posto che ancora oggi si vanta di mandare soldati a sterminare umanitariamente civili in Jugoslavia e in Mesopotamia ma che in realtà è la sede di vecchi reduci ubriachi che si ritrovano lì una volta l’anno per commemorare i (bei) tempi andati e per organizzare la messa in scena di fedeli riproduzioni di storiche battaglie.. un po’ come gli invasati delle guerre civili americane di cui racconta Elmore Leonard.. c’è un vecchio pallone.. E’ veramente messo male quel relitto di gomma e di cuoio, ma si capisce subito che ha qualcosa.. emana forti vibrazioni, attinge alla grammatica generativa delle storie e dei miti ed è pronto a raccontarne di dimenticati.. Il vecchio magazziniere sale e consegna il pallone al ragazzino..



Frank Jr. torna a casa pieno d’orgoglio e mostra il pallone a Susan, la mamma, che non riesce a trattenere una lacrima.. Abbraccia il piccolo e contatta il Leather Conservation Centre di Northampton perché rimettano a posto quella reliquia rovinata dal tempo e dall’angoscia di una storia che non è mai riuscito a raccontare.. L’appuntamento è per lunedì, c’è un po’ di tempo ancora.. Allora Susan prende per mano il ragazzino e lo porta a casa della nonna.. E qui, nel salotto di questa anziana signora, al piano terra di una semi-detached londinese, sotto la riproduzione di un acquerello di Elizabeth Thompson, altrimenti detta Lady Butler, incorniciato malamente sopra il camino, il pallone può finalmente tornare a sorridere.. E il ragazzino, con il pallone tra le braccia e gli occhi fissi sul dipinto, si lascia trasportare nella dimensione del racconto e si ritrova in quel luogo, nel nord della Francia, e in quel tempo, il 1915.. E’ nel bel mezzo della battaglia di Loos, una delle più ardite offensive britanniche sul fronte occidentale durante la Prima Guerra..


Il pallone guarisce, il soffio del mito gonfia la camera d’aria, le mani della storia ricompongono le cuciture del cuoio, il ragazzino corre felice tra le trincee con il pallone tra i piedi finché laggiù, in prima linea, scorge un giovane uomo, poco più grande di lui, che gli somiglia molto.. I due si guardano e in un solo istante si riconoscono come bisnonno e pronipote.. Il ragazzino Frank Edwards Jr. sa che deve passare il pallone al giovane uomo Frank Edwards, della brigata della London Irish Rifles, affinché la storia che sua nonna gli racconta ogni domenica si possa finalmente compiere.. Ricevuto quello splendido pallone di cuoio tra i piedi, Frank si lancia, come sempre ha fatto in questa maledetta guerra, con il pallone tra i piedi nella terra di nessuno che separa le postazioni britanniche da quelle tedesche.. Baionette in pugno e urlando a squarciagola sono in sei a partire all’arrembaggio passandosi il pallone, come avrebbero fatto nelle strade di Londra o di Belfast.. Cinque di loro cadono sotto i proiettili nemici.. solo Frank, colpito a una gamba, fa in tempo a calciare di collo pieno verso le trincee tedesche.. E mentre Frank cade a terra sotto gli occhi di Frank Jr. è lì, nel filo spinato delle trincee nemiche, che va a conficcarsi quel vecchio pallone di cuoio marrone.. E lo squarcio che ne solca il cuoio disfacendolo.. e il metallo che penetra nella gomma facendo esplodere la camera d’aria.. sono la ferita che l’umanità ha deciso di arrecarsi dall’alba dei tempi per il gusto di giocare alla guerra..

sabato 8 gennaio 2011

Il Sogno di Un Intellettuale di Croydon, Volume II


Perché nel cervello d'un coglione il pensiero faccia un giro, bisogna che gli capitino un sacco di cose e di molto crudeli..
Louis Ferdinand Céline, Viaggio Al Termine della Notte, 1932



Cambiata la storia dell’italica penisola come solo il Divo e Licio Gelli avevano saputo fare prima di lui.. il professor Roy torna in patria, ai Blackburn Rovers.. ma sono gli anni della maligna illusione Blairiana, quelli in cui il governo mette mano alla pistola ogni volta che sente la parola cultura, e per un intellettuale di Croydon come lui in quell’Inghilterra non c’è più posto.. E’ oramai da due decadi che il cinema britannico è sprofondato nel pastiche nostalgico, insostenibili biopic di durata eccessiva e patetici melodrammi in costume che cercano di inventare un passato ad una nazione senza più futuro.. L’unica isola di resistenza è rappresentata dalla flebile fiamma rivoluzionaria che rimane accesa nei bassifondi dell’anima del realismo magico del cinema lumpenproletariat di Ken Loach e Mike Leigh.. un desiderio immanente che però mal si accompagna con l’oramai avvenuto distacco del professor Roy dalle cose umane e la sua scelta esistenziale e metafisica.. Alla prima stagione a Blackburn l’intellettuale di Croydon raggiunge il sesto posto, grazie ai gol di Sutton e Gallacher e nonostante la presenza in squadra della strapagata mezzasega luterana Martin Dahlin (qualche mese alla Roma con Carlos Bianchi) che aveva fatto arrivare appositamente dalla Svezia insieme alle videocassette con gli spot televisivi girati dal regista Roy Andersson.. La stagione successiva la squadra precipita verso la retrocessione, rovinando un progetto di spese multimilionarie che pochi anni prima aveva portato i Rovers ad essere l’unica squadra oltre alle solite tre (Arsenal, Chelsea e Manchester United) ad avere mai vinto la Premier League.. Allora il proprietario Jack Walker, locale magnate dell’acciaio, gli chiede di rassegnare le dimissioni ma lui, colmo dell’arroganza che oramai la sua scelta personale di abbandono della materia gli ha imposto, disprezza la potenza magnifica e progressiva dell’acciaio e, perso nella sua vana e costante ricerca metafisica, un po’ come lo era Dahlin quando vagava inutilmente per i campi di calcio, rifiuta.. E così viene esonerato per l’ennesima volta..



Gli dei recidono l’ultimo brandello del cordone ombelicale che lo teneva ancorato alla madre terra.. la materia si fa sulfurea.. l’uomo è perso, e disperso in quel limbo tra cielo e terra che gli dei avevano abbandonato già migliaia di anni fa per ritirarsi chi nei cieli e chi nelle profonde viscere della terra, lasciando agli umani solo la superficie, la crosta, su cui vagare per l’eternità impossibilitati ad elevarsi come a penetrare.. In quel limbo che è dentro ed oltre il punto del non ritorno, il professor Roy cerca di ripercorrere sentieri a lui conosciuti.. di nuovo a Milano all’Inter, ancora in Svizzera al Grasshoppers.. Ma è tutto inutile, non funziona.. Roy si è perso, a furia di cercare l’uomo ha trovato il nulla.. Ma da buon intellettuale di Croydon ci mette anche del suo.. Mentre l’Inghilterra è alla ricerca di un commissario tecnico e disperata, sarebbe pronta a anche a puntare su di lui, il professor Roy firma con il Copenhagen e quando riceve la chiamata della FA è costretto a declinare.. e la nazionale finisce nelle mani dell’epicureo Sven Goran Eriksson.. Convinto che la terra non lo meriti e pronto a ricongiungersi con il cielo, prossimo al suicidio, lo salva l’immanenza antispiritualista ed anti illuminista di Lars Von Tier, che gli propone la visione di un’umanità primitiva e cannibale, in cui gli dei non ci hanno abbandonato ma, ancor peggio, si sono rintanati nella nostra testa, rendendoci creature molteplici e schizofreniche, intenti a dividere arbitrariamente la natura tra bene e male.. Roy conosce l’uomo Europeo al di là dello yin e dello yang, l’uomo come animale rabbioso, malato, prigioniero schizofrenico dei suoi miti e dei suoi riti, incastrato nelle sue fantasie diventate insostenibilmente più pesanti del reale.. Superato Bergman, la menzogna degli dei non si rivela più al termine di un processo storico di abbandono dell’uomo ma, ancor peggio, viene presentata come tale da sempre, dalla nascita di Occidente.. Accompagnato dall’ontologia antispirituale di Von Trier e Vinterberg, l’intellettuale di Croydon comincia il primo anno del nuovo millennio vincendo un titolo con il Copenaghen, grazie ai gol del puma sudafricano Subisso Zuma.. Ma è il canto del cigno, l’ultimo rintocco di una campana che suona dall’inizio dei tempi e che non suonerà mai più.. il professor Roy comincia il nuovo millennio con il Copenaghen e con Zuma raccontandoci che l’umanità che ha fagocitato gli dei, vantandosi di aver acquisito un terzo occhio, è invece divenuta cieca nei confronti della terra..



Roy oramai si è perso, e non sa tornare.. Conosce il dolore lancinante della noia heideggeriana in un campionato passato ad aspettare il treno ad Udine dove viene esonerato dalla famiglia Pozzo, apprende l’arte di spostarsi nello spazio e nel tempo attraverso i cammelli come commissario tecnico degli Emirati Arabi e tramite le slitte trainate dai cani alla guida dei Wiking in Norvegia.. Poi si trasferisce in Finlandia, accettando di sedere sulla panchina della nazionale nella difficile impresa di qualificarsi agli Europei del 2008.. Qui incontra il geniale Aki Kaurismaki, che pensando a Roy ed al suo viaggio alla ricerca dell’uomo aveva appena finito di girare L’Uomo Senza Passato.. L’intellettuale di Croydon naturalmente si riconosce immediatamente in quell’uomo senza nome condannato a vivere in un eterno presente.. ma non ne comprende l’immensa fortuna.. Immobile, come la staticità dei corpi e dei paesaggi di Kaurismaki che ammira sul grande schermo, le scambia per fantasiose immagini e non ne percepisce il desiderio sovversivo: il vivo e trasudante calore umano.. Roy, oramai giunto in prossimità della fine del suo viaggio al termine della notte, ha accumulato troppe domande ma nessuna risposta, e con la nazionale finlandese fallisce la qualificazione agli Europei del 2008.. Allora torna a casa.. in Inghilterra, a Londra, a Croydon.. Nel dicembre del 2007 viene assunto come nuovo manager del Fulham, società indotto di Harrods pericolosamente sull’orlo della retrocessione (sia la squadra che i grandi magazzini).. la vicinanza del cinema Ritzy di Brixton, l’aria tetra ed irrespirabile di Croydon, fanno bene al vecchio professore ed in soli due anni e mezzo è capace di valorizzare giocatori come Hangeland, Smalling e Konchielsky, riuscendo addirittura a fare segnare gol spettacolari al pessimo Bobby Zamora che si guadagna la sua prima (ed ultima, si spera) convocazione in nazionale.. Giunto quasi al termine del suo percorso attraverso il senso della vita e del cinema, Roy si riaffaccia alle pellicole di casa, e nell’anno 2009 grazie al nuovo film di Ken Loach riconosce nella figura mitologica di Eric Cantona quella del demiurgo che può riportarlo alla dimensione umana, quella che non divide ma che unifica il cielo con la terra, lo yin con lo yang, lo spirito con la materia..



Dismesse le domande senza risposta dei pastori luterani svedesi abbandonati da dio, superato lo shock della distruzione delle relazioni affettive come le ha conosciute in Svizzera, traversata indenne la marcescente decadenza piccoloborghese della sinistra milanese, patito l’insostenibile caos primitivo propostogli in Danimarca dai figli di Odino, incapace di cogliere il desiderio di umanità del comunitarismo utopico finlandese.. il professor Roy pare finalmente ritrovarsi grazie ad una postmoderna divinità della guerra e custode del segreto del fuoco, Eric Cantona.. e in due anni porta i Cottagers dal rischio della retrocessione in Championship alla finale di Europa League persa per un soffio contro l’Atletico Madrid.. Ma non c’è niente da fare.. Guadagnato giustamente con il Fulham il titolo di manager dell’anno del 2010, il professor Roy compie l’ennesima scelta assurda della sua vita.. esce da quella dimensione esistenziale periferica che ne assecondava perfettamente la mediocrità intellettuale per tentare il colpo grosso, al di là del muro dei propri limiti esistenziali.. E così nell’agosto dell’anno scorso l’intellettuale di Croydon si rimette in cammino e si trasferisce a Liverpool.. in una società che non solo è prossima al fallimento ma che porta sulle spalle il peso di una sconfinata gloria destinata a non ritornare mai più, come la Kop.. Inoltre il Liverpool rappresenta anche, almeno nei suoi nebulosi ricordi in questa fredda mattina invernale, la squadra più odiata da lui e dalla sua famiglia, storici tifosi dell’Everton.. Alla corte dei Reds il professor Roy comprende finalmente che dalla condizione umana non c’è fuga possibile e scrive il suo testo più importante: l’Ecce Homo del calcio moderno.. La società più vincente e gloriosa del calcio britannico, comprata a credito alla fiera dell’est del mercato globale dove i sentimenti vengono oramai scambiati come una qualsiasi merce di scambio precipita nei bassifondi della classifica.. facendo del Liverpool, e quindi della materialità stessa del calcio, una seria candidata alla retrocessione.. all’estinzione, al non essere.. Ed allora, alla prima partita della nuova proprietà, nel sentitissimo derby del Merseyside contro l’Everton, dove la divinità è evocata ad ogni tocco di palla ed il divino prossimo a scomparire ad ogni tiro in porta degli avversari.. il Liverpool perde 2-0 e l’intellettuale di Croydon abbraccia la sconfitta definitiva.. E qualche mese dopo, alla nona o alla decima sconfitta in campionato del Liverpool di Gerrard, Carragher, Joe Cole e Torres.. alla vigilia di un incontro di FA Cup con il Manchester United.. l’ennesimo esonero.. E la storia del professor Roy, intellettuale di Croydon, volge definitivamente all’inizio..



…e improvvisamente una serie di immagine sfocate e confuse.. L’intera rosa della stagione 2010-2011 del Liverpool FC., visi noti come quelli di Torres e Gerrard, un’istantanea della curva Kop che canta a squarciagola si dissolvono davanti ai suoi occhi.. quel cartellone segnaletico rosso fuoco osservato di sbieco e senza troppo interesse che avvisa il viandante che è giunto nei pressi di Melwood, sede del centro tecnico di allenamento del Liverpool FC, comincia a svanire e prepotente riemerge quel quadro espressionista con le mostruose fattezze di Croydon che solo la più crudele delle divinità avrebbe potuto dipingere.. Il professor Roy si accorge di essere arrivato alla fine del Sogno…



Accadde tutto in un attimo.. L’improvviso stridore di freni di una macchina proveniente in senso contrario ridestò il professor Roy dal suo torpore e allontanò dai suoi occhi queste interminabile serie di immagini statiche che sembravano essersi messe in movimento davanti a lui.. L’intellettuale di Croydon smise di chiedersi cosa fosse reale e cosa finzione, ed in un gesto istintivo riprese in mano le redini del volante, evitò di scontrarsi con la macchina sull’opposta carreggiata ed accostò sul ciglio della strada.. Quest’oggi, così decise e forse fu la prima decisione saggia che prese in vita sua, non andrà a lavorare.. Il liceo dove insegnava educazione fisica dovrà fare a meno di lui, forse per sempre.. è tempo di andare in pensione, di ritirarsi, di dire addio al sogno.. Troppo spesso ultimamente la fantasia e la realtà si erano mescolati davanti ai suoi occhi.. Non solo in quel lungo ed assurdo viaggio calcistico per terre inospitali e film inguardabili, attraverso luoghi che forse lui aveva calpestato e lungometraggi che probabilmente lui aveva visto ma che non erano mai stati dipinti da alcuna divinità né filmati da alcun regista.. ma fu anche la sua stessa ordinaria vita quotidiana da intellettuale di Croydon, quel regno del Sogno sospeso tra essere e non essere, a sgretolarsi nel risveglio.. dalla verità e dalla finzione.. E fu così che il professor Roy decise di tornare a casa dalla moglie Sheila, che lo accolse con un caloroso abbraccio e gli versò del Kirsch in uno di quegli improbabili bicchierini con arabeschi dorati che avevano comprato insieme ad Harrods qualche anno prima.. Lui la ringraziò commosso.. (una lacrima fu sul punto di scorrere sul suo viso, ma giunta al confine degli occhi, osservando quella insostenibile teoria fisiognomica di borsoni e risacche che aveva accompagnato il professore Roy fin dalla più tenera gioventù, si spaventò decise di restarsene rintanata nella palpebra..) si diresse in giardino e, aperta la seggiolina pieghevole di plastica a strisce bianche e verdi, si accomodò placido e tranquillo, con la sigaretta in bocca a sorseggiare il suo Kirsch.. E fu lì, in una fredda mattina di inverno, che si mise a contemplare con aria attonita e trasognante un plumbeo e vacuo cielo mattutino invernale.. e sul suo stanco viso si aprì un innocente sorriso.. perché al di là dalla bruna corteccia dello spoglio ciliegio, oltre la siepe che delimitava il suo giardino, era possibile intravedere nella sua immensa bruttezza Croydon..

Il Sogno di Un Intellettuale di Croydon, Volume I


Perché nel cervello d'un coglione il pensiero faccia un giro, bisogna che gli capitino un sacco di cose e di molto crudeli..

Louis Ferdinand Céline, Viaggio Al Termine della Notte, 1932


Quella mattina Roy, professore di educazione fisica con la tipica aria trasognante ed attonita dell’intellettuale di Croydon, si alzò dal letto come da molti anni a questa parte senza nemmeno bisogno di sentire la sveglia, si diresse alla finestra e scostate le improbabili tendine tartan gialle e marroncine guardò fuori.. e sul suo stanco viso si aprì un innocente sorriso.. Una lattiginosa alba aveva già lasciato spazio a un plumbeo e vacuo cielo mattutino invernale, e al di là dalla bruna corteccia dello spoglio ciliegio, oltre la siepe che delimitava il suo giardino, era possibile intravedere Croydon nella sua immensa bruttezza.. Fatta la toilette ed osservato allo specchio quel suo viso cadente che nulla aveva a che fare con l’età ma con una teoria fisiognomica di borsoni e risacche che l’aveva accompagnato fin dalla più tenera gioventù, il professor Roy scese al piano di sotto, dove la moglie Sheila gli aveva preparato la sua colazione preferita.. uova fritte, bacon, purea di patate e broccoli.. lo stesso cazzo di breakfast che Sheila gli preparava da più di quarant’anni, solitamente molto delizioso, ma non quella mattina che, illogicamente, non aveva sapore.. Non riuscendo a trovare empiricamente alcun dato sensibile che potesse convincerlo che effettivamente ci fosse qualcosa di diverso, che una variabile non autorizzata si fosse inserita in un sistema altrimenti inattaccabile, Roy, fedele alla scuola del positivismo empirico britannico, non se ne curò.. baciò sulla fronte la moglie e si diresse nel piccolo cortile d’ingresso a prendere la macchina.. Accesa una sigaretta e sintonizzata l’autoradio sul quarto canale della Bbc, placido e tranquillo si diresse al lavoro.. ma, una volta imboccata la svolta in fondo al viale, come per incanto si ritrovò nei paraggi di Melwood, sede del centro tecnico di allenamento del Liverpool FC.. Che cazzo ci faceva lì il professor Roy, quel gentiluomo bene educato alla maniera della vecchia working class britannica.. quell’uomo con quell’aria attonita, distaccata e trasognante tipica dell’intellettuale di Croydon?



..osservando di sbieco e senza troppa convinzione la segnaletica rosso fuoco che avvisava il viandante che a breve sarebbe entrato nella tana dei Reds, il professor Roy cominciò a ricordare di quando bambino visitò per la prima volta Liverpool.. e presto una serie di immagine sfocate e confuse prese il sopravvento sulla nitidezza di quella che chiamava realtà.. L’intera rosa della stagione 2010-2011 del Liverpool FC., visi noti come quelli di Torres e Gerrard, un’istantanea della curva Kop che cantava a squarciagola, si sovrapposero davanti ai suoi occhi sul quel quadro espressionista con le mostruose fattezze di Croydon che solo la più crudele delle divinità avrebbe potuto dipingere.. Il professor Roy si lasciò precipitare nel mondo del Sogno..



Sono i primi anni ‘60 ed un ragazzino di nome Roy nato a Croydon, un lurido sobborgo della deprivata South London, lontano anni luce dalla scintillante Swinging London raccontata dai rotocalchi, si presenta a Liverpool per sostenere un provino per i Blues dell’Everton, la squadra per cui tifava tutta la famiglia, gli acerrimi nemici dei Reds.. Lo accompagna, fiero e quasi commosso, il padre.. Tutto sembra procedere per il meglio ma ad un certo punto un’entrata assassina di un altro aspirante Toffees gli recide, oltre a tibia e perone, anche il sogno di una vita.. Tornato sconfitto nella nativa Croydon, la sua carriera da calciatore si avvia verso un più modesto approdo nelle giovanili del Crystal Palace, squadra locale che milita in Quarta Divisione.. Dopo una lunga trafila Roy non riesce ad esordire in prima squadra e da allora la sua carriera calcistica è un lungo e stanco peregrinare tra varie squadre amatoriali del sud dell’Inghilterra.. mai troppo lontane da Croydon.. il centro di gravità permanente di una vita.. Oramai giovane adulto, Roy consce Sheila e con lei va spesso al cinema Ritzy di Brixton, meno di mezz’ora in autobus da Croydon è il luogo che più si avvicina ad un qualcosa di umano ed ospitale in quell’immenso deserto di cemento destinato ad aspettare ad infinitum una riconversione al terziario che mai lo sfiorerà nemmeno.. A soli 24 anni e nel pieno della sua modesta carriera di calciatore, Roy diventa giocatore/manager prima al Maidstone United e poi al Carshalton Athletic.. Infine decide di smetterla con il calcio e, su consiglio di Sheila, si diploma come insegnate di educazione fisica.. Tra il 1972 ed il 1974 diventa ordinario di educazione fisica alla Alleyn's School e gli amici cominciano a chiamarlo professore, anche perché, passando sempre più tempo in quella stanza buia illuminata solamente da un fascio di luce a due passi da Croydon, il professor Roy comincia a porsi domande.. E’ a furia di fissare uno schermo su cui vengono proiettate una dopo l’altra una lunga serie di immagini fisse in un inganno continuo, la stasi che porta alla percezione del movimento, che Roy comincia a dubitare della realtà e ad interrogarsi sul concetto di finzione.. Gli anni sessanta sono gli anni in cui l’immagine tempo si trasforma in immagine movimento, in cui l’evento, l’accadere delle cose, assume una sua validità ontologica al di là della percezione umana dello spazio e del tempo..



La fenomenologia del reale lascia spazio alla fenomenologia degli affetti e per lo stesso motivo il professor Roy ritorna al suo primo amore, il calcio.. Così, all’improvviso, decide di abbandonare il mestiere di professore di educazione fisica e il fetido utero di Croydon per trasferirsi in Svezia, ad allenare una squadra senza né arte né parte come l’Halmstad.. Abbandonato oramai quello stucchevole razionalismo positivista in cui è cresciuto, che non riesce a spiegare la possibilità dell’esistenza di un posto maledettamente espressionista come Croydon, e attratto dall’amore per le opere del cineasta svedese Ingmar Bergman, da quel suo ostinarsi a dipingere in ogni scena l’impossibilità umana di essere in qualsiasi luogo, il professor Roy si trasferisce quindi ad Halmstad, patria tra gli altri dell’ex giocatore dell’Arsenal Freddy Ljungberg.. una cittadina fantasma dimenticata da dio e dagli uomini, dove si parla una lingua che a lui, unico spettatore, è assolutamente incomprensibile.. Qui, dopo avere visto al cinema Luci D’Inverno, realizza l’unico miracolo possibile nel momento della solitudine dell’uomo abbandonato da dio, al primo anno con l’Halmstad vince un incredibile scudetto, tre anni dopo fa il bis.. Anni dopo in un’intervista paragona questa esperienza alla trasformazione dell’acqua in vino.. Ma in quegli anni svedesi dio continua a non manifestarsi e Roy comincia a perdersi in una continua e vana ricerca dell’io.. Il professor Roy, spettatore di cinema e di calcio, si è messo in testa di cercare l’uomo, e per farlo deve tornare vicino a Croydon.. unico luogo di cui è ancora convinto di possedere certezza empirica della sua esistenza.. Croydon, fetido sobborgo né pre né post industriale del sud di Londra, culla dell’umanità e prescelta sede del Grande Tempio eretto dagli dei che custodisce la verità assoluta, quella dell’esistenza dell’uomo..



Il professor Roy accetta quindi l’offerta del Bristol City, poche ore di treno da Londra.. Ma come tutti i gentiluomini britannici in generale, e gli intellettuali di Croydon in particolare, Roy non capisce un cazzo di economia e non si accorge che il club è avviato al fallimento ed è in caduta libera dalla prima alla quarta serie.. Il Bristol City si assume la responsabilità della restaurazione Tatcheriana e, a immagine del crollo economico e sociale dell’intero paese, come il capro espiatorio condannato a vagare nel deserto comincia la sua discesa nelle serie inferiori del calcio britannico.. da dove non risalirà mai più.. E’ un vero peccato, perché Bristol e Croydon.. coi loro grigi e fatiscenti palazzoni popolari, con quell’archeologia postindustriale che labirintifica ogni via di fuga materiale o anche solo immaginaria.. sono molto simili.. Ma il professor Roy non lo capisce, pensa che quel crollo sia una contingenza non una manifestazione del declino assoluto a cui è condannato l’uomo e decide di emigrare di nuovo.. E così, con quell’aria di chi osserva la vita passargli accanto mentre le pone troppe domande e non ottiene nessuna risposta, decide di tornare nell’unico posto dove gli inverni sono più tetri e solitari di Croydon e di Bristol.. la Svezia.. Dopo un biennio all’Orebro, una squadra di pura fantasia come poteva esserlo solo la bergmaniana città di Uppsala, e dove l’etereo fantasma delle molteplici realtà possibili era afflitto dalla materialità dei sogni e delle fantasie e viceversa, Roy passa alla corazzata del Malmoe.. Qui in un film lungo cinque anni vince di tutto: coppe, coppette e campionati.. Il pubblico apprezza particolarmente l’episodio del settembre 1989, in cui viene fatta a pezzi l’Inter dei record del Trap al primo turno di Coppa Campioni (1-0 all’andata con gol di Lindman, 1-1 al ritorno a San Siro..) Per Roy è un periodo di sospensione tra realtà e finzione, in cui il pericolo incombente è che la prima sia il rifugio dall’insostenibile verità propugnata dalla seconda.. Alla fine del piano quinquennale la dirigenza del Malmoe è talmente entusiasta di questo gentleman post vittoriano con la faccia triste da intellettuale in gita che gli propone un contratto vitalizio.. ma incredibilmente il professor Roy rifiuta.. Sempre alla ricerca dell’uomo e di un luogo che lo possa contenere, dichiara: “Volevo provare l’ebbrezza di andare altrove, di muovermi.. cambiare luogo mi è sempre sembrato tremendamente eccitante..” E dove cazzo va a finire questo improbabile attraversatore del pensiero e dei luoghi, colui che un giorno se andò da Croydon fino in Svezia per cercare l’uomo nel tempo dell’assenza di dio? In Svizzera.. allo Neuchatel Xamas..



Senza volersi soffermare sull’uso delle parole “ebbrezza” ed “eccitante” riferite ad un viaggio in Svizzera.. (che nemmeno se fosse andato a trovare Albert Hofmann per un giro in bici in un acido giorno d’aprile..) forse il trasferimento nella patria di Godard avviene per amore nei confronti delle tarde opere dell’unico svizzero maoista mai esistito.. Corre l’anno 1990, il tempo ed il luogo in cui la dialettica dell’illuminismo tra capitalismo immaginario e socialismo reale abbatte la sua sintesi, costruita dall’uomo sotto forma di muro nel mezzo di Europa, e dichiara che la storia è finita.. E’ l’anno in cui Godard, con Allemagne 90 Neuf Zéro, lascia vagare alla deriva il solitario Lemmy Caution nelle macerie della poststoria alla ricerca di una guida suprema che, fosse dio o il segretario del Pcus, si manifesta solo tramite l’incapacità del uomo di relazionarsi con i suoi simili.. La Svizzera (ed Europa) come estremo nonluogo della solitudine, come luogo della definitiva perdita delle relazioni affettive umane, frammentate dall’incedere del Capitale.. E’ l’anno in cui Roy alla guida del Neuchatel riesce a battere 1-0 al Real Madrid nel terzo turno della Coppa Uefa 1991-92 (risultato poi ribaltato al Bernabeu due settimane dopo dai 4 gol di una Quinta del Buitre agli ultimi volteggi..) Corrono anni densi di cambiamenti storici, e tanto basta perché Roy assuma le redini della nazionale rossocrociata che guida ad un’incredibile cavalcata verso la qualificazione ad Usa 94 vincendo un girone che comprendeva Italia e Portogallo.. Contro l’Italia di un oramai già esaurito Sacchi, ultimo giapponese rimasto nella giungla cambogiana a difendere la dialettica materialista dell’intensitè applicata al lavoro dell’uomo sulla natura.. all’andata pareggia 2-2 (in vantaggio di 2-0 a 7 minuti dalla fine la Schweizer Nati fu raggiunta dalle reti di Roberto Baggio ed Eranio..) ed al ritorno a Berna riesce addirittura a vincere 1-0: rete del terzino destro Hottiger.. La definitiva sconfitta, ben prima del rigore di Baggio, del socialismo reale sacchiano e la sua sussunzione nei perversi meccanismi del capitale..



Dopo un buon mondiale (eliminati dalla Spagna negli ottavi) e un ottimo girone di qualificazione agli Europei del 96, il professore Roy decide di abbandonare quel luogo inospitale e di esplorare il Sud del mondo.. ed attraversata con la macchina la frontiera di Mendrisio si dirige verso quel cumulo instabile di nebbia e smog che i topografi si ostinano a chiamare Milano.. Alla corte nerazzurra di quell’ossimoro petroliere ecologista di sinistra.. che lo assume forse perché in un impeto di autolesionismo lo ricorda alla guida del Malmoe che quindici anni prima eliminò l’Inter, o forse per dare lavoro all’amico Mr. Flanaghan.. Roy decide di distaccarsi completamente dalle cose terrene per raggiungere la pace dei sensi, attraverso un processo di conoscenza interiore adeguato agli insegnamenti gnostici di scuola alessandrina.. Insomma, fa cagare.. Perde una finale di Coppa Uefa a San Siro ai rigori contro lo Schalke 04 ed avvalla la vendita di Roberto Carlos, attirandosi gli improperi di un giornalista altrimenti serio ed equilibrato come Maurizio Mosca.. E’ l’apoteosi della sconfitta.. Ma d’altronde sono gli anni in cui nelle sale cinematografiche milanesi imperano personaggi alla Salvatores, che celebrano con malcelato compiacimento la sconfitta del desiderio della loro e di tutte le altre generazioni, passate e future.. chiedendo all’alienata piccoloborghesia bottegaia di accogliere nel suo putrido ventre un nuovo sterile desiderio socialdemocratico che faccia delle piccole sconfitte quotidiane la sua ragione d’essere.. Una mortale richiesta di omologazione culturale su cui Godard aveva cercato, inascoltato, di lanciare l’allarme.. Un’atroce domanda di eutanasia culturale che era già stata generosamente accolta da uno scaltro produttore cinematografico e televisivo meneghino, che su quel narcotico sogno della nazione aveva costruito il suo immaginifico e barbarico impero.. Dopo il passaggio del professor Roy, il cinema e la vita a in Italia non saranno più gli stessi..